Negli ultimi anni la chirurgia del piede e, più precisamente, la chirurgia correttiva dell’alluce e dell’avampiede ha subito una straordinaria evoluzione. Oggi, grazie alle moderne conoscenze biomeccaniche ed ai progressi tecnologici dei materiali chirurgici, il trattamento dell’alluce valgo e delle malattie dell’avampiede viene personalizzato. Ogni paziente ha delle sue caratteristiche peculiari di cui il chirurgo deve tener conto per ottenere una correzione efficace e duratura nel tempo.
La correzione avviene mediante tecniche osteotomiche (il taglio chirurgico dell’osso si definisce “osteotomia”). Le ossa che anatomicamente compongono l’articolazione dell’alluce vengono tagliate con apposito strumentario e successivamente riallineate e riposizionate in modo da correggere la deformità. La scelta del tipo di osteotomia, ovvero la modalità con cui eseguire il taglio e la successiva ricomposizione delle ossa del primo raggio dipende da vari fattori tra i quali, la gravità della deformità, l’età della/del paziente, la qualità dell’osso (esempio osso normale o portico). La procedura può essere eseguita sia con tecnica chirurgica aperta che, entro certi limiti, con tecnica percutanea (ovvero introducendo strumenti dedicati attraverso piccoli fori cutanei).
Gli interventi attualmente eseguiti (sia in per cutanea che in chirurgia aperta), sono caratterizzati da una scarsa invasività. Salvo rarissime eccezioni l’anestesia è locale (si “addormenta” solo il piede), ed è anche possibile tornare a casa lo stesso giorno. I moderni interventi, sia se eseguiti a cielo aperto che con tecnica percutanea, permettono una deambulazione immediata utilizzando calzature speciali. Le metodiche anestesiologiche avanzate consentono un assoluto controllo del dolore post-operatorio. E’ possibile riprendere attività sportive di alto impatto come ad esempio la corsa, dopo 8-10 settimane.
Nel campo della traumatologia del retropiede ed in particolare in quella del calcagno, l’evoluzione tecnologica dei materiali di osteosintesi (leggi: placche e viti) e dello strumentario chirurgico (quegli strumenti che permettono la ricostruzione anatomica della frattura) ha fortunatamente subito una grande accelerazione.
Ciò ha permesso di sviluppare tecniche chirurgiche decisamente meno invasive rispetto a quelle tradizionali, riducendo sensibilmente l’incidenza di gravi complicazioni quali i disturbi di cicatrizzazione della cute e le infezioni.
Si può affermare senza alcun dubbio che lo studio delle articolazioni artificiali è uno dei campi della ricerca tecnologica e bioingegneristica che negli ultimi 15 anni ha subito la maggiore espansione. Sono attualmente disponibili le protesi di caviglia di terza generazione che ci permettono di eseguire la sostituzione dell’articolazione della caviglia con risultati clinici affidabili e duraturi nel tempo.
L’impianto di un’articolazione artificiale (artroprotesi) è indicato per la cura della degenerazione artrosica primaria o secondaria all’esito di un pregresso trauma articolare (esempio una frattura) od ad una malattia infiammatoria sistemica (es.: artrite reumatoide).
L’impianto della protesi permette di mantenere il movimento, eliminando il dolore e restituendo al paziente un’ottima qualità di vita. Importantissimo, nel caso della caviglia, è agire precocemente prima che le erosioni articolari causate dalla malattia possano provocare danni e deformità tali da rendere impossibile l’impianto della protesi.
Grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica tutti questi interventi possono essere eseguiti in anestesia periferica (si addormenta tutto o parte dell’arto inferiore), con recupero relativamente rapido della deambulazione. Il controllo del dolore è estremamente efficace grazie alle moderne tecniche anestesiologiche anch’esse minimamente invasive.